I virtual influencer sono i primi abitanti del Metaverso, creati per la prima volta a Los Angeles nel 2016, attraverso il personaggio di Miquela Sousa (@lilmiquela su Instagram). Innovativi personaggi non umani che entrano a pieno titolo nelle strategie di social media marketing dei colossi mondiali di moda quali Gucci, Prada e Calvin Klein.
Ma cosa li differenzia dagli influencer in carne ed ossa? La totale controllabilità, calcolabilità ed efficienza. Infatti, essendo androidi creati a tavolino, con caratteristiche fisiche che molto spesso vanno a rispecchiare le fisionomie in voga al momento, permettono alle aziende che li adottano di trasferire in toto l’immagine sociale e i valori del proprio brand nel virtual influencer, ciò tenderebbe a fornire un enorme valore aggiunto: nessun danno alla reputazione o pericolo di intaccare l’immagine di un grande brand, è evidente che in quanto non umani, non hanno una propria visione del mondo e di conseguenza delle opinioni che possano scontrarsi o danneggiare l’azienda in questione. Non è un caso che i virtual influencer stiano spopolando in Asia, dove è ben noto il controllo centralizzato del governo sui cittadini, dunque la possibilità di utilizzare dei virtual influencer per controllare la comunicazione si sposa perfettamente con la politica locale.
Esistono, quindi, dei pro e dei contro nell’utilizzo dei virtual influencer come strumenti di marketing. I pro sono, come già affermato in precedenza, il controllo totale della comunicazione da parte del brand e l’assenza di errori. Inoltre alcuni report effettuati dall’Università di Monaco hanno evidenziato come l’engagement sia mediamente molto più alto nei profili degli influencer virtuali rispetto a quelli reali, la prova tangibile è rappresentata dalla media più alta di like e commenti rispetto a molti altri influencer a parità di followers.
Costi inferiori sotto il punto di vista dell’advertising, anche se gli influencer virtuali richiedono un budget molto elevato per quanto riguarda la loro creazione a causa dell’impiego di alte tecnologie come l’AI (artificial intelligence) e la grafica 3D, di conseguenza la spesa per far fronte alle tecnologie da utilizzare ed al team di esperti da reclutare diventa considerevole. Altro aspetto da considerare, forse quello più problematico, è la totale assenza del fattore umano, fattore che può incidere negativamente sulle campagne di marketing, il brand è caratterizzato da una personalità per avvicinarsi e farsi comprendere dai consumatori, che paradossalmente viene a mancare nel suo portavoce.
Sotto il punto di vista giuridico non esiste ancora una specifica regolamentazione per ciò che concerne la figura del virtual influencer, anche se a livello europeo l’emanazione di vari provvedimenti, tra i quali la Risoluzione del Parlamento Europeo del 20 ottobre 2020 recante “raccomandazioni alla Commissione su un regime di responsabilità civile per l’intelligenza artificiale” tende disciplinarne il contesto.
Il fenomeno dei virtual influencer si inserisce nel nuovo universo del marketing, sicuramente uno strumento da capire e seguire nei suoi prossimi sviluppi.
Maria Antonietta Ferraro